IL GIOCO È UNA COSA SERIA

di Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica ludo-biblio AOU Meyer

Magicabula, Simsalabim, Abracadabra, Hocuspocus, Magia magia, Apriti sesamo. Sono i più celebri incipit dei giochi di magia, i lasciapassare per universi in cui la logica, le leggi fisiche del moto e della materia, sembrano dissolversi e con i quali si spalancano le porte dell’impossibile.

Dagli zero ai 99 anni è la curiosità che catalizza l’attenzione e tiene gli occhi incollati sulle mani del prestigiatore: conigli che escono dal cappello, monete che spariscono, fazzoletti che volano; così si genera lo stupore e si accende il desiderio di scoprire che cosa d’altro accadrà.

Chi non ricorda le signorine garbatamente acconciate e in costume glitter rinchiuse in un baule, segate in tre pezzi e poi ricomposte? O i mangiatori di spade o i fachiri che si infilzavano bicipiti e cosce con spilloni e pugnali senza spargimento di sangue. Davanti a questi prodigi, il cuore palpitava in un misto di incanto e paura, di ansia e sollievo.

Diciamo pure che ancora oggi, che sia alla televisione, al compleanno dell’amico con Mago al seguito, al Circo o sul lungomare, ogni bambino ai “giochi di magia” chiede sì di essere stupito, ma si lascia anche stuzzicare dall’idea di riuscire a penetrare e risolvere l’arcano. Perché, come si è soliti dire, il trucco c’è ma non si vede.

Ma perché non si vede? Bene, questa è la domanda centrale sulla quale da anni indagano congiuntamente maghi e neuroscienziati, unendo l’esperienza dei primi alle ricerche sull’attenzione e la consapevolezza, su aspetti della percezione e sullo studio della coscienza, portate avanti dai secondi.

Ed è grazie a questa insolita collaborazione, così consolidata e fruttuosa da meritare le pagine di riviste scientifiche come lo SmithsonianMagazine e il Nature Reviews Neuroscience, se oggi la scienza conferma quello che i maghi hanno sempre sospettato: i giochi di magia colpiscono fortemente l’immaginazione del bambino, l’elemento sorpresa pungola le qualità creative mentre la curiosità che ne deriva spinge a sperimentare le mille ipotesi e i possibili percorsi che hanno generato l’insolito evento. Sorpresa e stupore, in sostanza, aiutano la mente a ragionare e ad apprendere meglio.

Non mancano tuttavia le voci dissenzienti. Alcuni pedagogisti, infatti, sollevano il quesito se i giochi di prestigio stimolino davvero la fantasia dei piccoli. In più sconsigliano vivamente di lasciare i bambini fermi, passivi, davanti al prestigiatore che lo incanta con i suoi trucchi, rendendo, dal loro punto di vista, l’esperienza un qualcosa di precostituito, fatto solo per impressionare. Non rimarrebbe, allora, al povero mago altro che spiattellare i suoi strabilianti artifici ai bambini.

Quindi, per non provocare una rovinosa caduta di appeal di maghi, maghe e maghetti e tuttavia far impossessare anche i più piccoli dei trucchi del mestiere, si possono cercare, nei negozi dei giocattolai, corsi completi del gioco di prestigio: dalle scatole in cui gli oggetti spariscono o si trasformano in altro sino ai mazzi di carte per leggere nel pensiero. Da notare che sia i piccoli kit sia le raccolte più ampie sono sempre suddivisi per tema e fasce d’età, permettendo così anche ai più piccoli di muovere i primi passi nello straordinario mondo della magia. Indispensabili poi, per trasformarsi in grandi illusionisti, possedere una matita o un mestolo da adibire a bacchetta magica, un asciugamano scenografico da sventolare all’occorrenza e scatoline o boccettine dove miscelare e conservare polveri, pozioni e formule magiche.

In un tale trionfo dell’immaginazione, pedagogisti dissenzienti a parte, non si può che convenire con Blanche che, in Un tram che si chiama desiderio, fu lapidaria: “Non voglio realismo. Voglio magia”.