IL GIOCO È UNA COSA SERIA

di Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica ludo-biblio AOU Meyer

Certe notti, per tanti bambini under-due, entrare nel proprio lettino è come cercare un posto sulla carrozza di un treno super affollato, sommersi come sono da una montagna di orsacchiotti, bambole di pezza, foche e bande di tamburi in pannolenci, una valanga di oggetti, una ricchezza variegata che avrebbe sconcertato persino Francis Ponge, il poeta delle piccole cose domestiche.

Così i piccolissimi vivono sommersi da “giocattoli da culla”, giocattoli che soprattutto fanno bambino e che alimentano simbolicamente l’atmosfera di accoglienza verso il nuovo nato.
In realtà i bebè di oggi, non diversamente da quelli di ieri, sono affascinanti e incuriositi da ben altro. Osservano e seguono ammaliati i suoni, le luci, il gorgoglio della pancia, le bolle di muco fatte con il naso, la consistenza del latte o della pappa o della cacca. Volendo, da questo punto di vista, sarebbero bebè a costo zero! Bebè che giocherebbero con un dito o al massimo con un ciucciotto, un sonaglio o il bordo della copertina o, ancora, con le filastrocche, le nenie, insomma, con la voce di chi, festante, li accudisce.

Tipica di questa prima età è, infatti, l’attività giocosa nella quale le emozioni e le sensazioni sono strettamente ancorate al movimento, al toccare, al vagare con le mani e con gli occhi. Giocano i bebè e si divertono da matti a incastrare un piede nel cancelletto, a infilare perfettamente il mignolo nel naso come l’alluce in bocca. Oziano nel Niagara di saliva del primo dentino. Si ingegnano a cercare l’abracadabra per chiudere i bottoni automatici della tutina. Toccano i capelli, le orecchie, la pelle liscia di mamma e la pelosità di babbo… scrutano attentamente le caratteristiche delle cose e costruiscono piano piano una loro rappresentazione del mondo. Apprendono, dunque, così forme, dimensioni, relazioni di spazio e di tempo rendendo, nel frattempo, fieramente note agli adulti le proprie abilità cognitive, affettive, manuali, motorie.

Di fronte di tali prodezze, i grandi alternano sorrisi soddisfatti a cumuli di interrogativi e perplessità. Per questo ricorrono a giochi consigliati dall’industria del giocattolo, per cercare di rendere più proficui e strutturati questi primi nonnulla ludici dei loro bambini.

Le culle e le stanze si popolano allora di giostrine da posizionare sul cielo della culla utili, sembra, per sviluppare la sensibilità musicale nonché i first dreams; di tappetini elettronici per lo sviluppo della sensibilità musicale e della coordinazione manuale; di tappetini morbidi, magari super accessoriati e magari anche con trillino per dentizione, ecc… Bisogna però riflettere sul fatto che le manipolazioni che i giocattoli industriali permettono sono spesso fittizie. Dotati come sono di automatismi (motori, pile, tasti di accensione ecc.) rendono il bambino spettatore passivo di azioni svolte fondamentalmente dal giocattolo stesso. Le possibilità di incontrare ostacoli, provare a superarli e quindi di impegnare attivamente le proprie facoltà divengono assai limitate.

Chi non ha letto sul voto di un bebè una specie di insofferenza verso quelle le apine che girano con monotona regolarità sopra la sua testa, senza che nulla di diverso accada, indipendentemente dal fatto che lui rida, urli mugoli o pianga? Qualunque cosa lui esprima e provi, loro girano, girano, fino allo esaurirsi della carica! Solo allora scatta la funzione ludica più autentica, quella che si radica nella relazione: il volto del genitore si affaccia dal bordo della culla, pronuncia due parole, un soffio, un sorriso, una carezza, un buffetto, poi riavvia la molla e se ne va… fino alla prossima!

Inutile consigliare ai genitori che, pur facendosi largo a fatica fra le tante offerte e profferte dell’industria del consumo, conviene puntare sul giocattolo più grande e più bello: la voglia di giocare insieme.