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IL GIOCO È UNA COSA SERIA

Tre bambini seduti per terra assistono a uno spettacolo di burattini
di Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica ludo-biblio AOU Meyer

Il palcoscenico è pronto! Si apre il sipario e burattini, in scena a mezzo busto, pupazzetti da dita infilati come un guanto o marionette agitate dall’alto, si animano fino all’illusione della vita.

Contaminando fiaba, melodramma e quotidianità, marionettisti e burattinai improvvisati narrano storie, ora tirando i fili ora creando incantesimi col solo movimento delle mani. E le storie non finiscono mai, intrecciano principesse e draghi, cavalieri, Re e Regine, streghe cattive e pirati, oggetti fatati, filtri e pozioni.

In quel teatrino che prende vita dietro a un telo sospeso tra gli stipiti della porta o in una scatola di cartone ritagliata c’è una magia che nessuna altra forma di narrazione possiede. Lì si schiudono mondi che si avvalgono degli accadimenti quotidiani, dei racconti ascoltati, delle favole conosciute attraverso i libri; mondi che la fantasia forgia, ridefinisce e reinventa.

Marionette e burattini diventano allora gli strumenti privilegiati di un gioco che lega in trame narrative memoria, immaginazione e inventiva, senza porre limiti alla fantasia.

Il teatro dei burattini cresce con i bambini, si trasforma con la loro capacità di elaborare storie sempre più articolate e complesse, cresce con l’ampliarsi delle loro conoscenze e concezioni sul mondo, cresce e si arricchisce, arricchendo, il loro stesso immaginario.

Si animano, burattini e marionette, per la prima volta nelle mani di genitori e nonni, vogliosi di insegnare ai loro piccoli cose semplici come il verso di un micio o di un pulcino, o di far loro scoprire nuove parole oppure come dare voce ai personaggi di un’avventura.

Quelle buffe creature mosse da tre dita dialogano fra loro e con i bambini, chiedono di cantare, di rispondere a tono nonché di applaudire alla fine della rappresentazione.

Più tardi, marionette e burattini, passano nelle mani dei bambini stessi e si fanno mezzo impareggiabile per infrangere le barriere della timidezza e aprire la strada alla comunicazione.

Il patto di fiducia che si stipula fra spettatori e “fantocci” aiuta anche i più piccoli a esprimere i propri sentimenti, a esorcizzare le paure, a fidarsi delle proprie risorse.

Nei teatrini che appartengono a ogni infanzia si impara a trovare le parole giuste per raccontare una storia, a camuffare la voce, a scoprire i tempi comici necessari per la riuscita di una battuta.

Tanto utile e bello il “teatrino” risulta essere che, grazie al lavoro pionieristico realizzato dalla straordinaria burattinaia e intellettuale Maria Signorelli nonché da suo marito il pedagogista Luigi Volpicelli, fu addirittura presente nei programmi didattici ministeriali per la scuola primaria fin dal 1955. E nel momento in cui tali programmi furono abrogati e sostituiti da quelli del 1985, “il teatro dei burattini” - si trova scritto - “costituisce una delle migliori occasioni per rendere vivo e operante il principio della integrazione fra tante e differenti discipline”.

Insomma, è sicuramente uno dei giochi più belli che si possano offrire a un bambino. In filigrana conserva pure il fascino di chi viene da molto lontano, nel tempo e nelle geografie; il fascino di chi si è lasciato trasformare dalle culture che ha incontrato, vestendone gli abiti, assecondandone le indoli, assorbendone la linfa.

Un teatrino di figure che, vuoi che si dica popolare, aristocratico, ossequioso o irriverente, sempre, e sopra ogni altra cosa, rimane sorprendente e meraviglioso.