Disegno di un bambino in spiaggia che, mentre gioca con paletta e secchiello, si gratta a causa della dermatite

PER I NOSTRI FIGLI

di Angela Pittari, pediatra di famiglia

A pochi mesi dalla riapertura della scuola, come sempre, si sono riaffacciati i malanni che poi, per tutto l’anno scolastico, circoleranno nelle classi: tosse, raffreddore, febbre, disturbi gastrointestinali, ma anche congiuntiviti, pediculosi e malattie infettive compariranno soprattutto fra i bambini più piccoli dei nidi e delle materne. Quando ero bambina, ammalarsi significava stare giorni e giorni a casa, riguardati, alimentazione leggera con carni bianche, verdure lesse e frutta a volontà… oggi il rientro in classe è rapidissimo: basta che passi la febbre e già si ritiene possibile il rientro a scuola, anche se il bimbo tossisce a ripetizione, il naso cola abbondantemente, il visino è smunto, gli occhi alonati.

La frenesia della società di oggi, la nuova organizzazione familiare senza i nonni pronti a prendersi cura dei nipotini, non permette a gran parte delle famiglie di non andare a lavorare o di chiamare una baby-sitter per accudire un figlio malato. Ma cosa comporta far rientrare un bimbo non ancora guarito in comunità? Non corriamo il rischio di un peggioramento delle sue condizioni? Ed ancora….. è giusto esporre gli altri bambini al possibile contagio?

Queste alcune delle domande che bisogna porsi in tali situazioni. È importante non avere fretta, in modo particolare con i più piccoli: prima dei cinque, sei anni il sistema immunitario non è ancora ben sviluppato e quindi sono proprio i bimbi piccoli a essere più indifesi contro le infezioni virali così frequenti nelle classi di ogni ordine da settembre a giugno. Le più comuni affezioni delle vie aeree, anche le più banali, come raffreddore, otiti e faringiti, così come le gastroenteriti virali, richiedono dai cinque ai sette giorni per risolversi: rimandare a scuola un bambino non ancora ben guarito significa esporlo a una nuova infezione con un progressivo e inevitabile accorciamento del tempo di benessere tra quella precedente e quella successiva. Non solo, ma in alcuni casi, come per esempio per le rinosinusiti, si ha un passaggio da un’infezione virale comune (il raffreddore) a una situazione più complessa a causa del diffondersi di virus o di batteri dal naso ai seni paranasali.

Certamente l’ideale sarebbe potersi organizzare per evitare che il bimbo nel primo anno di vita debba andare al nido per consentire ai genitori di lavorare. Dopo i due, tre anni invece, frequentare la scuola d’infanzia e stare con i propri coetanei porta solo vantaggi per il suo sviluppo cognitivo, la socializzazione, il linguaggio, l’acquisizione dell’autonomia e, cosa importantissima, il suo sistema immunitario è in grado di fare tanti anticorpi verso i comuni agenti infettivi, dimostrato dal fatto che questi bimbi si ammalano molto meno.

Nonostante tutto, cinque-sei episodi febbrili ogni anno sono abbastanza normali, non sono necessari accertamenti e terapie particolari, i bambini guariscono bene con pochi rimedi volti a diminuire il disagio del naso chiuso, della tosse catarrale, del mal di pancia.

In caso di bambini particolarmente cagionevoli, con infezioni ricorrenti che interessano diversi distretti (naso, gola, orecchio, bronchi, pancia…) i tempi di convalescenza devono essere necessariamente più lunghi per permettere loro una migliore ripresa prima di ritornare in comunità. Se poi il piccolo è un bimbo a rischio, (allergico, affetto da altre patologie) che ben venga anche la prevenzione: il consulto con il pediatra di famiglia è fondamentale per decidere cosa è più appropriato per quel bambino e per ogni singola situazione.
Immunomodulanti, vitamina D, vaccinazione anti-influenzale, alimentazione corretta, ricca di verdura e frutta, attività fisica, possono aiutare a diradare le infezioni ricorrenti nel periodo invernale.

In genere alla risoluzione dei sintomi i bambini non sono più contagiosi, ma bastano 24 ore senza febbre per tornare in classe? La febbre è sicuramente significativa, ma la sua assenza non è sinonimo di buona salute o di guarigione, ci sono altri elementi da considerare: la persistenza della tosse, il malessere generale, la rinorrea muco-purulenta, la disappetenza, la stanchezza inusuale: in queste situazioni il buon senso consiglia di aspettare ancora.

E se per le comuni patologie dell’apparato respiratorio i tempi di convalescenza variano con la diagnosi, e in base alle condizioni del bambino, per alcune malattie, come varicella, morbillo, scarlattina, parotide ed altre, le regole sono molto precise ed vanno rispettate.
Per fortuna, con il crescere, le infezioni ricorrenti diminuiscono, le difese dei bambini sono più appropriate, ma la regola della prudenza è sempre valida, anche per i bimbi più grandicelli.