IL GIOCO È UNA COSA SERIA

a cura della dottoressa Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica Ludobiblio AOU Meyer IRCSS

In un’era in cui i social imperversano, perdendo con questo i veri connotati dell’amicizia e dello stare insieme, per alcuni genitori risulta talora abbastanza incomprensibile che il piccolo di casa si immerga nel gioco in solitudine semplicemente contemplando un gratta gengive, cullando un barattolo del borotalco, o rastrellando la sabbia in riva al mare o impegnandosi assorto con un puzzle lungo da mettere insieme. E anche laddove e fortunatamente a questo solitario giocare del bambino non si guardi con il sospetto di stramberia, sconclusionatezza o di un eccesso di ritrosia o di vero e proprio ritiro dalle relazioni, certo non si può dire che per lo più se ne comprenda l’importanza o che altrettanto venga valorizzato o sollecitato.

In effetti da parte di psicologi, pedagogisti e sociologi si è investito così tanto per lo sviluppo sin da piccoli delle “competenze sociali” da incoraggiare consigliare e glorificare per i bambini stessi le più varie attività ricreative di gruppo in un crescendo inarrestabile di impegni e di svaghi. Tanto che oggi si è tutti un po’ delusi nel trovarsi di fronte a un crescendo di bambini e ragazzini apatici e scontenti, spesso annoiati e risucchiati da un esubero di attività distraenti.

Probabilmente il timore che il tempo libero da vincoli obblighi o finalità si tramutasse in solitudine e vuoto e che la fabbrica del divertimento, con i suoi prodotti inesauribili e sempre a portata di mano, chiudesse i battenti ha invaso un po’ tutti. Così fra palestre e atelier, corsi di lingua e lezioni di scherma o di danza, abbiamo quasi dimenticato che uno dei bisogni fondamentali di ogni persona – bambini in testa - è quello di disporre di uno “spazio privato”, segreto; uno spazio individuale, aperto al gioco, all’invenzione e all’appagamento di un tempo interiore, fatto di riflessione e di indagine lasciando la mente a “riposo” come fosse un campo lasciato a maggese. Ecco allora che le linee guida psicopedagogiche attuali si sono ravvedute declinando la capacità dei bambini di giocare da soli, di viversi giochi e momenti in solitudine, come una risorsa, o meglio - come ha sostenuto il pediatra e psicoanalista inglese Donald Winnicott - come una vera e propria “abilità dell’IO”.

Un’abilità trascurata, quasi per nulla divulgata tanto che, solo per fare un esempio, la stragrande maggioranza dei genitori si scapicolla non appena, svegliandosi, il piccolo piange, senza dargli il giusto tempo per trovare un nonnulla con cui “imparare” a giocare e quindi a trovare una consolazione personale: l’orecchio del pupazzo, un pollice in bocca, le bollicine di saliva, la mano che stringe un lembo della copertina, nonnulla certo, però scoperti da lui; primi abbozzi della sua capacità di attendere e di inventarsi originali passaporti-dalla-solitudine – giochi e giocattoli - che piano piano gli consentiranno di vivere anche in assenza di stimoli esterni.
Certo la capacità di essere soli presuppone che il bambino abbia avuto della “solitudine” stessa un’esperienza positiva grazie soprattutto a cure ambientali che gli abbiano consentito di sentirsi sostenuto, protetto, mai intruso.

La storia di un orsetto - maglione verde a collo alto e salopette a righe, per le straordinarie illustrazioni di Geoffrey Hayes – racconta i vari momenti nei quali orsetto, tutto solo, assapora il silenzio, il rumore della pioggia o, ancora tutto solo, passeggia fra gli alberi, si sdraia nell’erba, o va in città a guardare le vetrine, o ancora, a notte fonda, si mette sotto le coperte nel proprio letto con un bel librino in mano prima di prender sonno gustando a tutto tondo il suo essere solo con se stesso.
Ben sappiamo come la relazione che il bambino crea con i coetanei giocando, sia nei nidi che nelle scuole dell’infanzia, sia nodale per la sua crescita. Eppure non dobbiamo trascurare, proprio come orsetto, che il piccolo capisca che può divertirsi anche da solo, che può esplorare il “fuori”, l’ambiente, con le sue capacità senza stimoli esterni. Si sentirà più forte, avrà più fiducia in se stesso. Si annoierà di meno e giocherà di più.
Giocherà con bambole e peluche, giocherà con i giocattoli e i giochi di sempre come con quelli di ultima generazione, e metterà in scena creativamente la sua quotidianità, le sue preoccupazioni, le sue passioni, il suo prezioso mondo interiore. Familiari e educatori potranno ascoltare il parlottio rapito del proprio bambino, divertirsi con le sue buffe performance, spazientirsi per la sua lentezza o imbranataggine… ma il tutto usando la discrezione di una lepre di montagna.