PER I NOSTRI FIGLI
Anche se al momento non ci sono ragioni di un reale allarme generalizzato, molta attenzione viene data ai casi di epatite acuta osservati in alcuni bambini in Italia e già segnalati, nei mesi scorsi, in diverse nazioni europee. In totale, le segnalazioni riferite a pazienti in età pediatrica in Italia sono al momento 11: di questi casi, solo un bimbo di 3 anni ha sviluppato una forma molto aggressiva.
Da qui è scattata l’allerta e si sono moltiplicati gli accertamenti ematici e strumentali dei casi, anche se solo sospetti, nell’intento di arrivare velocemente a una diagnosi di certezza di epatite, di identificare l’agente patogeno responsabile, la fonte del contagio e bloccare così la diffusione della malattia. In breve tempo, nei laboratori di microbiologia, è stato identificato il piccolo virus a RNA detto virus A (HAV) dell’epatite.
Per fortuna, almeno allo stato attuale delle conoscenze, gli epidemiologi e i microbiologi hanno fugato ogni preoccupazione sulla possibilità di un’epidemia poiché sono scattate tempestivamente tutte le misure di prevenzione igienico-sanitarie e le vaccinazioni nei soggetti vergini (cioè privi di anticorpi specifici).
L’epatite A è un’infezione altamente contagiosa che aggredisce le cellule epatiche danneggiandole; si contrae per via oro-fecale, attraverso il contatto con persone infette che non osservano le comuni norme di igiene personale e quelle indispensabili per la manipolazione degli alimenti,oppure attraverso l’ingestione di acqua contaminata da feci umane.
Il virus, eliminato con le feci può infatti resistere a lungo nelle acque dei fiumi, laghi e mari, contaminando le falde acquifere e attraverso di esse raggiungere svariati tipi di alimenti, quali pesci, molluschi, crostacei, verdura, frutta e tutti i prodotti derivati.
Per fortuna l’epatite A, rispetto alle altre forme (B,C,E...) non è pericolosa e la naturale evoluzione è benigna con guarigione dopo 2-10 settimane, senza esiti a distanza. Solo in rari casi può evolvere nella temutissima Epatite Fulminante e per questo motivo non bisogna sottovalutarla e mettere in pratica, al più presto tutte le possibili misure di prevenzione proteggendo i soggetti più a rischio.
L’ epatite A non evolve mai verso la cronicità, a differenza di quanto accade per l’epatite B e C, e l’immunità che si sviluppa dopo l’infezione è permanente cioè proteggerà il soggetto da nuove infezioni per tutta la vita.
Dopo un periodo di incubazione, decisamente lungo e in genere in apparente benessere (in circa il 70% dei bambini) che varia da 15 a 50 giorni dal momento del contagio, si hanno i primi sintomi. Durante questo lungo periodo, per così dire clinicamente silente, il soggetto è contagioso eliminando il virus con le feci, questo non fa altro che favorire la trasmissione e la diffusione della malattia.
I primi sintomi sono molto simili a quelli di una comune forma influenzale (febbre, nausea, inappetenza, malessere generale, mal di testa e disturbi digestivi) per cui non permettono di sospettare la reale malattia ma, a questa fase nota come pre-itterica segue la manifestazione conclamata dell’epatite: l’ittero, una colorazione giallastra della cute e soprattutto della congiuntiva, espressione del danno epatico con conseguente liberazione di bilirubina nel sangue, a cui si può aggiungere il tipico dolore in sede epatica sottocostale destra.
Anche le urine possono diventare scure a causa della bilirubina che si accumula in circolo, mentre le feci diventano chiare. È importante specificare che la malattia, nei bambini piccoli (sotto i 6 anni), quasi sempre decorre in modo asintomatico eccetto che per la colorazione itterica della pelle tipica della seconda fase.
Nei bambini più grandi e negli adolescenti invece si può avere, in parte o tutto, il corredo sintomatologico sopradetto e non sono rare le complicanze.
I sintomi, quando presenti, possono persistere per un periodo che va da 2 a 6 settimane, dopo le quali, se si rispetta un regime di adeguato riposo e di alimentazione corretta, vanno incontro a una spontanea remissione senza lasciare esiti.
L’infezione da epatite A può essere facilmente smascherata da pochi esami ematici: dosaggio della bilirubina, transaminasi, dagli indici di flogosi e soprattutto dal dosaggio degli anticorpi specifici, IgM anti-HAV, che compaiono precocemente e scompaiono con altrettanta rapidità dopo pochi mesi; per questo sono considerati un marker di infezione acuta per una diagnosi sicura. Le Ig G che invece compaiono durante la convalescenza e permangono tutta la vita testimoniano la pregressa malattia e l’immunità acquisita nei suoi confronti.
Per l’epatite A la miglior cura è la prevenzione. Non è infatti possibile una cura specifica, se non la precoce somministrazione di gammaglobuline standard (anticorpi) entro 7-14 giorni dal contagio nei soggetti a rischio di gravi complicanze. Di conseguenza, se i sintomi sono già comparsi, sono perfettamente inutili e la terapia è solo sintomatica, ricordando che il sistema immunitario, anche nei bambini piccoli, è in grado di sconfiggere il virus senza l’utilizzo di medicinali.
Semplici norme dietetiche come ridurre l’apporto calorico con piccoli spuntini, ridurre i grassi (che affaticherebbero ulteriormente il fegato) e favorire le pietanze facilmente digeribili come zuppe, yogurt, frutta e verdure sono sufficienti a portare il soggetto di qualsiasi età alla guarigione. Sarebbe buona cosa (anche se di difficile attuazione nei bambini e negli adolescenti) ridurre l’attività fisica sportiva e associata alla dieta bilanciata un’adeguata assunzione di liquidi.
Come per altre malattie la prevenzione primaria e più sicura è costituita dalla vaccinazione che è consigliata per i bambini sopra l’anno di età, che per turismo o per necessità si recano nei paesi di origine (del bacino Mediterraneo) dove l’epatite A è molto diffusa per le scarse condizioni igienico-sanitarie.
La somministrazione del vaccino viene effettuata per via intramuscolare nel braccio ed ha un’efficacia pari al 94%, conferisce un’immunità a partire da 14-21 giorni dalla somministrazione della prima dose e una seconda dose di richiamo è richiesta dopo 6-12 mesi che permette di ottenere una protezione per 10-20 anni e più. Raramente sono riportati effetti collaterali come per altri vaccini: malessere, mal di testa, stanchezza oltre che ai classici effetti locali come il rossore e una lieve tumefazione nella sede dell’iniezione.
Viaggiando si consiglia di consumare frutta e verdura accuratamente lavate ma preferibilmente sbucciate, evitare carne o pesce crudi o poco cotti, bere e lavare i denti con acqua in bottiglia, non consumare bevande con ghiaccio e se non è disponibile acqua in bottiglia, far bollire l’acqua del rubinetto per 10 minuti prima di berla.
È bene rinnovare i consigli per una buona e attenta igiene personale: lavare accuratamente e spesso le mani per prevenire le infezioni, lavarsele in particolare dopo aver usato i servizi igienici, prima di cucinare, e dopo aver cambiato il pannolino di un bambino, non condividere con altri (anche se della stessa famiglia) asciugamani, posate o spazzolini da denti.