IL GIOCO È UNA COSA SERIA

a cura della dottoressa Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica Ludobiblio AOU Meyer IRCSS

Stetoscopio dotato di luci e suoni, termometro, siringhe, monitor della pressione sanguigna, bende, forbici, rilevatore di impulsi, torcia elettrica, bisturi, martello riflesso, specchio della bocca, dentiera, otoscopio, occhiali, ma… tranquilli, non siamo in onda con Grey’s Anatomy o sul set di E.R. medici in prima linea o del Dr. House, abbiamo solo aperto una delle innumerevoli valigette, in legno, in plastica o in stoffa, destinate al “gioco del dottore” per quella fascia d’età approssimativamente detta 0-6.
Classificato come gioco d’imitazione o di ruolo, il gioco del dottore è un must per ogni bambino anzi, questa prima versione di uno dei giochi più giocati del mondo, si ritiene essere utile, educativa, e spesso la si dona ai bambini per far loro acquisire familiarità con le pratiche mediche.

Giocare al dottore, imitare e immedesimarsi nei propri curanderos, di sicuro incalza e appaga quella curiosità infantile che, verso i due tre anni, si ingegna a scoprire “come siamo fatti”, consente di mettere in scena avvenimenti e pensieri che possono preoccupare il bambino come ad esempio l’avvenuta nascita di un fratellino oppure il ricovero urgente di un familiare in ospedale, come pure nei casi migliori, giocare ai dottori, sollecita il sentimento del farsi carico della cura dei pazienti che siano essi bambolotti, peluches, compagni di scuola o amici di sempre.
Facendo leva sui sentimenti di timore, batticuore, o talvolta, più banalmente, di noia che agitano gli animi dei piccoli pazienti nelle sale d’attesa di pediatri, dentisti ecc… arrivano in soccorso altre declinazioni del “gioco del dottore”: i molti video che, capitanati da Hippo in ospedale, spiegano dal telefonino di mamme e babbi come avverrà la visita e che cosa si celi mai dietro la porta ermeticamente chiusa degli ambulatori.

In questo dilagante medical-drama rispondono all’appello anche giochi da tavolo assai divertenti come al esempio il Dottore matto o L’allegro chirurgo che oggi conosce ben altri splendori oltre all’esilarante naso che si illumina, basti pensare che una delle ultime varianti propone come paziente il celeberrimo Homer Simpson dalla cui sagoma i giocatori dovranno estrarre "corpi estranei" come ciambelle o altre schifezze ingerite.

Difficile però immaginare che la fervida curiosità di bambine e bambini si accontenti di video o giochi in scatola!
Infatti, è nei primi anni di vita che i bambini e le bambine cominciano a riconoscere in modo sempre più chiaro la loro appartenenza a un sesso o all' altro e, come osservano fra gli altri Silvia Vegetti Finzi e Massimo Ammaniti, per consolidarsi nella propria identità serve al bambino o alla bambina guardare e toccare il proprio corpo, quello del padre o della madre o dei propri amichetti o delle amichette. Serve confrontarsi. Ecco allora venire in soccorso un’ulteriore versione del gioco del dottore.

Come ognuno ricorderà, alla base del gioco c’è l’invenzione di una visita medica: qualcuno dei bambini accetta di fare il paziente mentre un altro si presta a ricoprire il ruolo del dottore; volendo poi i ruoli si scambiano. Da un lato il bambino che “interpreta” il malato si spoglia e scopre dalla pancia in giù o in su … mentre dall’altro lato troviamo il bambino che fa il dottore e che ispeziona e palpa. Intorno, gli altri bambini commentano il gioco con estrema complicità e risate nervose, dal momento che sentono di fare qualcosa di segreto, di proibito.
Solitamente il gioco si conclude con il bambino-dottore che quasi salta addosso al “malato” brandendo un pennarello a mo’ di siringa e urlando: "Non ti muovere, ora ti faccio una puntura tremenda!". Con questo siamo arrivati al momento clou del loro giocare che perlopiù finisce qui, come se in quel gesto, concitato e tiranno, si fossero sciolte le fantasie che tenevano insieme i bambini.
Inutile investigare ulteriormente perché, insegna il poeta Bruno Tognolini, il mantra di ogni bambino è: “Fammi giocare solo per gioco…”