IL GIOCO È UNA COSA SERIA

a cura della dottoressa Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica Ludobiblio AOU Meyer IRCSS

Basta con istagram, you tuber, Iphon 16, super Mario, uwii party, Nintendo Switch eccetera eccetera e, in famiglia o fra amici, proviamo a indire “la giornata dell’esploratore nel bosco”. E chissà che in quel girovagare fra sottoboschi selvatici e caduche foglie, in quell’ozio, in quel salutare lasciare la mente come fosse un “campo a maggese”, non emerga, nei nativi digitali, un brivido di entusiasmo che li porti a visioni inaspettate tutte da esplorare!

Ora, per meglio entrare nella parte dell’esploratore-naturalista si suggerisce di procurarsi una macchina fotografica, una lente d’ingrandimento, un taccuino, penne e matite, una borsa da raccolta, una parola d’ordine grintosa quale ad esempio “sto conducendo una ricerca”, nonché, a seconda di come si decida di proseguire l’avventura, filo pinzette scotch e non ultimi robusti guanti.
Appartiene un po’ alla storia di tutti, di ieri e di oggi, lo stupore per il foliage autunnale, magari con una foglia poggiata sul foglio di carta; una foglia da ricalcare e colorare sotto lo sguardo tenero e un po’ nostalgico della mamma o della maestra; una foglia che mescola e sfuma: dal marron al ruggine al senape all’ocra ai colori della zucca o al verde delle olive. Eppure partire dalle foglie non è certo l’unico modo per esplorare un albero, lo si può considerare, infatti, come un insieme di colori, si può vederlo da una prospettiva vicina o lontana, e ancora ispezionarlo come parti separate: la corteccia, il sistema radici, le connessioni, il linguaggio, i suoni che produce, i sogni che esprime nella chioma. Come pure si può decidere di approfondirne la storia: del bosco, di un albero in particolare. Chi l’ha piantato? che aneddoti e storie circolano sul suo conto? qualche immersione in fiabe? Qualche incantesimo o maleficio?

Poi, a raccolta ultimata, che cosa si può farne? Certo, possiamo sistemare la raccolta stessa, possiamo studiarla nelle sue tante forme, possiamo combinarla liberamente arborizzando oggetti e nonnulla raccattati, organizzandoli in modi diversi, possiamo persino fotografarla, dipingerla e/o appenderla ai rami degli alberi quasi a formare una sorta di museo che in filigrana mostri la propria personalissima visione della natura.
E ancora, se gli esploratori volessero movimentare il pomeriggio e, facendo tesoro delle conoscenze accumulate, volessero cimentarsi in qualche gioco di gruppo ecco che arriva in soccorso: “Il mio albero”.
A occhi bendati, un bambino o una bambina, vengono condotti verso un albero che si trovi fuori dal sentiero che si sta percorrendo. A questo punto l’”esploratore-naturalista”, facendo inevitabili deviazione dal percorso lineare, dovrà toccare, annusare, sentire, abbracciare l'albero, cercando di memorizzarne più caratteristiche possibili. Dopodiché, una volta riportato al punto di partenza e sbendato dovrà ritrovare il "suo albero” e perché no: raccontare la storia, il sogno, il desiderio che l’albero, nell’abbraccio gentile, gli ha sussurrato.

Ci sono ancora energie? Al via “Caccia alle tracce”. In questo caso bisogna formare le squadre (servono almeno 4-6 bambini) e fornire ai concorrenti indicazioni chiare su che cosa devono cercare, raccogliere, costruire; esempio un fungo porcino, quattro sassi, tre ciuffi di muschio, due foglie più rosse che gialle, un ciclamino. A questo punto: il cronometro avviato e le squadre che sfrecciano nel bosco segnaleranno l’avviarsi del gioco. Vince chi raccoglie più materiale congruo alle richieste e nel minor tempo possibile. Se però si avrà la fortuna di inciampare in una bacca detta la “berretta del prete” la vittoria della squadra sarà assicurata.
Castagnaccio per tutte per tutti (genitori, nonni e zii inclusi) e una frase di Jules Verne per tutti: “Guarda, guarda a tutt’occhi, guarda”.