IL GIOCO È UNA COSA SERIA
Inventastorie super gettonati, i genitori, in effetti, sono maestri nel costruire dal nulla e con dei nonnulla storie capaci di rapire i loro bambini sottraendoli a quel linguaggio adultizzato e a quel troppo pieno di “cose” nel quale vivono immersi, facendoli, invece, salpare alla ricerca del perduto sense of wonder.
Così con le parole sussurrate di mamma o di babbo e le dita che orchestrano incantesimi e danze … un sasso può trasformarsi in una pasciuta quaglia in dialogo con i pesci rossi di casa, i pennarelli impugnati con forza possono farsi attori di scene di lotte fra draghi, stregoni e principesse piangenti mentre le molliche del pane, appena appena lavorate e pressate, possono assumere le sembianze di uomini, donne, bambini e gatti in una città poggiata sulla tovaglia a scacchi, mentre appartengono all’infanzia di tutti i cucchiai mutanti in bastimenti carichi di purè o di minestrina a stelline per bambini recalcitranti o disappetenti!
E certe volte stupisce come in un’epoca di videogiochi e di storie spaziali, un’epoca di perenne noia, con sbadigli contagiosi, ancora i bambini si animino e pendano dalle labbra di chi narri loro una storia tracciata sul vetro appannato o ancorata al silenzio di un bosco innevato.
In effetti, oggigiorno anche lo stupore, il senso di sorpresa, gli “scoppi di meraviglia”, che Einstein aveva definito “il seme di ogni vera scienza”, sono andati perduti, inglobati nell’ossessione contemporanea di stupire attraverso esagerazioni e estrosità formali prive di un autentico dialogo con emozioni e affetti.
Nel recupero di una saggia “educazione alla meraviglia”, ecco che le storie inventate - spesso attinte dal personale archivio d’infanzia – sono un piccolo prezioso gioiello, perché è nello spessore affettivo e emozionale che si crea con chi racconta, nella trama affettiva che si stabilisce con il narratore, che scaturiscono emozioni, nascono atmosfere, erompono stati d’animo e entusiasmi, il che consente ai bambini di dirigere un sguardo nuovo verso direzioni che si aprono improvvisamente; territori inaspettati da traversare con la nave corsara della curiosità; un’alternativa, in altre parole, al modo di guardare superficiale, sopito o semplicemente acquietato da spiegazioni tradizionali.
Tuttavia, ammettiamolo, non sempre è facile, soprattutto di fronte ai figli, sdoganare la propria immaginazione, fidarsi delle proprie qualità creative e lasciarsi andare, abbandonarsi, al flusso giocoso delle parole. A Gianni Rodari, in questo senso, più volte era stato chiesto un aiuto. Tanto che l’inventore della grammatica della fantasia aveva approntato una sorta di immaginario prêt-à-porter.
Suggeriva, Rodari, di avviare il racconto da un disegno che raffigurasse un personaggio insolito, un mostro, oppure un paesaggio fantastico; giusto per cominciare e costruire poi la trama seguendo una sorta di scaletta: chi è il personaggio… da dove viene… dove va… cosa sta facendo… come si sente… che emozioni prova… come mai… perché… cosa dice la gente che ha intorno… e, ovviamente, come va a finire! Ma soprattutto nessun timore; se mai si dovesse perdere il bandolo o il controllo, si può sempre ispirarsi aprendo a caso un libro o un quotidiano e facendo ripartire la storia dalla prima parola in alto: a destra o a sinistra. “Le parole – scriverà Rodari – possono, infatti, riprendere e continuare il gioco. Il movimento è di nuovo dal non senso al senso. E lo stimolo per l’immaginazione nasce anche in questo caso da due elementi che il caso mette in contatto”.
Un effetto esilarante, un indimenticabile incontro con la dimensione della meraviglia: “la prima di tutte le passioni”, come Cartesio amò definirla.