PSICOLOGIA
A cosa ci riferiamo quando parliamo di “famiglia ricomposta”: una famiglia composta da due partners che hanno vissuto una esperienza di separazione da un precedente matrimonio, da cui almeno uno ha avuto figli che attualmente vivono con loro. Credo che sia i bambini che il nuovo compagno/a si pongono consapevolmente e inconsapevolmente le stesse domande: “Chi è lui per me? Chi sono io per lui? Posso affidarmi? E quanto?” “Cosa voglio essere io per lui/lei?”. Un contesto relazionale il cui funzionamento sereno dipende da alcune variabili, prima tra tutte come è stata gestita la separazione dei genitori e il livello di maturità e collaborazione tra i genitori separati: quando i rapporti sono equilibrati è più semplice accettare la nuova figura, perché minore sarà il rischio che il bambino/adolescente proietti sul nuovo/a arrivato/a la responsabilità della rottura tra i suoi genitori.
L’arrivo del nuovo/a compagno/a genera sempre sentimenti ambivalenti, il desiderio di investire affettivamente su questa persona e il senso di colpa per il timore che volere bene a lui/lei possa essere un tradimento del genitore biologico. Un altro aspetto da considerare è se e quanto il genitore biologico delega al nuovo partner alcune funzioni educative (es. dare regole, aiutarlo nei compiti etc.) e il grado di accordo condiviso tra i tre attori, i genitori biologici e la nuova figura; se c’è equilibrio tra le parti va da sé che il bambino avrà di fronte una situazione chiara e definita con cui confrontarsi e adattarsi. Qualsiasi figura adulta presente nella vita di un bambino o adolescente assume una valenza educativa, il “problema” non è la presenza in sé di nuove figure di riferimento, ma la dinamiche relazionali disfunzionali che possono nascere quando non c’è abbastanza congruenza con le aspettative (consce e inconsce) sui ruoli e sulla “gestione” della nuova famiglia da parte degli adulti.