PER I NOSTRI FIGLI

di Angela Pittari, pediatra di famiglia

Non tutti sanno che il senso del gusto è un lento processo che inizia durante la vita intrauterina: le papille gustative e gli altri organi responsabili della percezione del gusto iniziano a funzionare fin dal secondo trimestre di gravidanza, mentre dalla trentesima settimana sono attivi anche i centri nervosi deputati al riconoscimento dei continui cambiamenti dei sapori e degli aromi del liquido amniotico. Il feto è dunque esposto a un’ampia varietà di sapori, che riflettono le abitudini alimentari della mamma e, se sarà allattato al seno, il neonato ritroverà tali sapori anche nel latte. Al momento dello svezzamento le sue papille gustative conosceranno in modo completo il gusto degli alimenti che gli vengono offerti in base all’esperienza, alle abitudini, alla cultura dei genitori e della comunità di appartenenza aumentando la preferenza e il gradimento di alimenti caratterizzati da sapori simili a quelli memorizzati fino a quel momento. Le scelte alimentari, dallo svezzamento e per i primi due anni, influenzeranno l’alimentazione del bimbo per tutta la sua vita futura ed è per questo che medici, nutrizionisti e scienziati sottolineano l’importanza di investire sull’educazione e sui comportamenti alimentari salutistici in quel periodo al fine di favorire un’alimentazione sana e quindi prevenire quelle malattie (diabete, ipertensione, obesità) direttamente legate ad abitudini errate.

Ma che cos’è il gusto? È la sensazione che si avverte quando sostanze chimiche entrano in contatto con i recettori gustativi situati sulla nostra lingua, portando alla percezione di cinque gusti base: dolce, amaro, salato, aspro e saporito. I neonati, come è noto, preferiscono alimenti ad elevato contenuto di zuccheri di “buon sapore” e fonte di energia, e rifiutano alimenti anche minimamente amari di “sapore cattivo”, che potrebbero indicare la presenza di sostanze nocive. Al tempo stesso, però sono poco gradite molte verdure e alcuni frutti i quali, benché contengano sostanze utilissime all’organismo (vitamine, sali minerali, antiossidanti), hanno un gusto particolarmente aspro (chi non ha visto la tipica smorfia facciale di un bimbo a cui viene offerto un cucchiaino di succo di limone?)

La risposta innata, geneticamente determinata, ai vari gusti - dolce, amaro e aspro - può essere modellata già nei primi anni di vita del bimbo: conviene quindi offrire al piccolo una vasta gamma di alimenti diversi in un ambiente familiare positivo, in modo da stimolare la curiosità dell’assaggiare e dell’apprezzare cibi nuovi. E se non vengono accettati subito, si può tornare a proporli. Senza dimenticare che, come per altri comportamenti, l’esempio e, in questo caso, le preferenze alimentari dei genitori influenzano notevolmente le preferenze e l’accettazione di nuovi alimenti nel bimbo. Al contrario, invece, non determinano effetti positivi a lungo termine le promesse dei genitori per invogliare o peggio obbligare il bambino ad assumere un alimento (per esempio “se mangi gli spinaci potrai guardare la televisione) o la proibizione di alimenti non “sani” ma graditi ai bambini (“se mangi caramelle o dolcetti diventerai un grassone”) spingendo il bimbo a mangiare l’alimento proibito in assenza di controllo e riducendo la sua capacità futura di autoregolazione.

I bambini dopo i 2 anni presentano spesso avversione per nuovi cibi e insistono per mangiare alimenti a loro familiari, insipidi e dolci: non è raro il caso di bambini di quest’età che, cocciutamente, mangiano solo latte e pasta bianca non condita.

Questa riluttanza ad assaggiare cibi nuovi, nota con il nome di neofobia (che riguarda circa il 20% dei bambini), è un fenomeno comportamentale che compare intorno ai 18 mesi e bambini che, in precedenza hanno sempre mangiato tutto, compreso frutta e verdure, a quest’età diventano più difficili in termini di gusti. Il genitore paziente e motivato non deve desistere e assecondare il comportamento del figlio, ma può vincere l’atteggiamento negativo o neofobia offrendo al piccolo l’alimento/i rifiutati tante volte (anche 6-10), in piccole dosi, fino a vincere la diffidenza e promuovere il desiderio di assaggiare.

Sebbene le preferenze alimentari primarie, come abbiamo detto, si sviluppino nella prima infanzia, queste possono essere modellate anche in seguito, durante l’adolescenza e l’età adulta, sotto l’influenza di fattori diversi: sesso, età, esigenze di salute, educazione, stato sociale e quindi economico e purtroppo anche mode correnti, suffragate spesso da pubblicità fuorvianti.

Per concludere, i bambini con giusto auto-controllo sull’alimentazione già dai primi anni di vita sono capaci di fronteggiare meglio l’attuale ambiente caratterizzato da un’abbondanza di cibi superflui, ipercalorici, snack-foods il cui effetto dannoso è quello di spostare il cibo dal suo ruolo di saziare la fame e favorire invece un problematico rapporto con l’alimentazione.

Ai genitori si raccomanda di scegliere l’ora dei pasti, promuovere le relazioni sociali, essere il modello a cui il bimbo può e deve riferirsi anche per quel che riguarda l’alimentazione, fornire porzioni adeguate, limitare l’uso di computer e televisioni.

Al pediatra il compito di informare e sostenere i genitori nell’educazione alimentare del bambino, fin dalla presa in carico del neonato, favorendo l’allattamento al seno, promuovendo l’introduzione graduale e varia degli alimenti complementari allo svezzamento e via via, durante la crescita, orientare le scelte alimentari in base alle diverse esigenze creando le basi di una buona salute futura.